La nostra Costituzione dedica numerosi articoli al lavoro ed alla sua tutela. Il primo articolo proclama che la l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Questa brevissima e chiarissima disposizione – brevissima e chiarissima se confrontata con la tecnica legislativa che purtroppo si è successivamente affermata dove abbondano gli articoli con svariati commi e rimandi ad altri provvedimenti normativi, al punto che la lettura diretta della norna appare troppo spesso
incomprensibile – enuncia le basi dello stato: la forma repubblicana, l’ordinamento democratico ed il lavoro, sul quale appunto si fonda lo stato.
L’art. 139 della Costituzione stabilisce che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Il principio discende alla scelta irrevocabile dell’ ordinamento democratico al quale deve conformarsi la repubblica e dalla considerazione che soltanto la forma di governo repubblicana assicura il pieno esercizio della democrazia. L’aver designato il lavoro quale terzo pilastro su cui si regge lo stato è una scelta molto significativa. Questa scelta programmatica deve
essere tenuta presente nell’ attività interpretativa di tutte norme vigenti. La costituzione infatti riconosce e tutela numerosi diritti, e pertanto possono nascere conflitti tra i vari diritti da tutelare.
Solo a titolo esemplificativo citiamo l’ art. 42 della Costituzione che riconosce e garantisce la proprietà privata, ma con i limiti necessari ad assicurare la sua funzione sociale ed a renderne possibile l’accesso a tutti. Quando si rende necessario bilanciare ed armonizzare la tutela di un diritto costituzionalmente assicurato con altri diritti non si può prescindere da una valutazione dell’importanza assegnata dalla Costituzione stessa ai diritti in questione. Abbiamo visto che il principio democratico e conseguentemente la forma repubblicana non tollerano limitazioni, pertanto
anche la tutela del lavoro – fondamento della repubblica – non può essere pretermessa in favore di altri diritti come ad esempio la difesa della libertà di iniziativa economica privata riconosciuta dall’art. 41 della Costituzione, purché non sia svolta in contrasto con l’utilità sociale o in modo da nuocere alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana. Tutte le forme di lavoro sono tutelate: per la Costituzione non esistono lavori di sere A e lavori di serie B!. L’art. 2 della Costituzione sancisce infatti che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, sono uguali davanti alla legge, senza differenze di condizione sociale. Il lavoro è un diritto, ma anche un dovere perché infatti ogni cittadino deve svolgere un’ attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Affinché il diritto al lavoro non rimanga
solo un’enunciazione di principio, la Costituzione richiede allo stato di promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto (art. 4 della Costituzione). Il principio è precisato e riaffermato negli articoli 35, 36,37 e 38 della Costituzione. L’art 35 della Costituzione ribadisce che la repubblica tutela il lavoro in tutte le forme ed applicazioni, cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. La formazione continua dei lavoratori deve essere incentivata dalla stato che ha l’obbligo di intervenire per assicurare a tutti i lavoratori una formazione continua,
anche a quelli che prestano la loro attività in piccole aziende. Secondo la Costituzione, la repubblica favorisce e promuove gli accordi internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Non possiamo non evidenziare che questa disposizione sia stata troppo spesso trascurata. Si è data ampia tutela alla concorrenza, alla libera circolazione dei capitali e delle merci senza curarsi di assicurare anche tutele adeguate al lavoro. Si è tollerata la delocalizzazione delle attività produttive in quei paesi dove il costo del lavoro è più basso e lo sfruttamento della mano d’opera raggiunge
livelli insopportabili. Particolarmente censurabile in punto è anche la legislazione dell’ Unione Europea che – privilegiando la libera concorrenza e vietando gli aiuti di stato alle imprese – consente invece livelli salariali e le condizioni di lavoro indegne di una moderna e progredita società. La situazione sopra descritta è chiaramente incompatibile con i principi costituzionali.
L’art. 36 della Costituzione sancisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza dignitosa. Quanto rimane ancora da fare per dare attuazione a questa solenne prescrizione! Lo stesso articolo prevede che la durata massima della giornata lavorativa sia fissata dalla legge e che il lavoratore abbia diritto al riposo settimanale ed alle ferie retribuite, senza possibilità di rinuncia.
L’art. 37 della Costituzione stabilisce che la donna ha gli stessi diritti e a parità di lavoro la stessa retribuzione che spetta all’uomo. Le condizioni di lavoro della donna devono inoltre consentirle della sua essenziale funzione familiare ed assicurare alla madre ed al bambino un speciale ed adeguata protezione. Il limite minimo di età per il lavoro salariato deve essere fissato dalle legge ed il lavoro minorile deve essere tutelato.
L’art 38 della Costituzione detta le basi di quello che oggi viene chiamato il sistema del welfare. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi ha diritto al mantenimento ed all’ assistenza sociale. Ai lavoratori deve essere assicurata la disponibilità di mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria.
Tutte queste tutele vanno rese effettive con efficaci strumenti normativi. La maggiore difficoltà che si frappone all’attuazione di un sistema di welfare è rappresentata dalle gravi carenze che si riscontrano nella possibilità di accertare in modo puntuale ed attendibile la reale situazione patrimoniale e reddituale dei cittadini. L’evasione fiscale e contributiva purtroppo molto diffusa non consente infatti di identificare in modo preciso chi veramente versa in uno stato di bisogno, con la conseguenza che troppo spesso i benefici assistenziali vengo elargiti anche a chi non ne ha bisogno, con grave spreco di risolse preziose. Spiace dover rimarcare che da più parti per ovviare
alle criticità sopra enunciate si auspichi la riduzione o l’eliminazione di varie forme di assistenza, piuttosto che invocare l’adozione di norme efficaci per la lotta all’evasione fiscale ed il miglioramento l’adeguamento a standard internazionali delle strutture amministrative preposte ai controlli ed alle verifiche. Paradossalmente certa stampa stigmatizza con maggior enfasi le vicende che riguardano casi di indebita percezione di sussidi, mentre il fenomeno dell’evasione fiscale viene considerato come un dato ormai acquisito del sistema, per il quale non è il caso di scandalizzarsi più di tanto!