HomeCOMUNICAZIONE E PUBBLICHE RELAZIONILA MANNA CADUTA DAL CIELO DI BRUXELLES. MA PER CHI?

LA MANNA CADUTA DAL CIELO DI BRUXELLES. MA PER CHI?

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Parte seconda

Quando abbiamo finito di leggere le circa 260 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, siamo stati pervasi da un moto di stupore. Sembrava di aver appena letto quello che il Segretario di Stato USA Marshall, nel 1947, aveva in animo di fare, per risollevare l’Europa appena uscita da una devastante Guerra Mondiale.

Forse il paragone è irriverente, ma sicuramente l’ampiezza degli interventi previsti nel PONS dal nostro Governo non è certo trascurabile.
Per capire bene, comunque, come gli investimenti studiati possano aiutare in maniera consistente il mondo del lavoro e quindi l’occupazione, perché è questo che interessa la nostra Organizzazione Sindacale, bisogna fare una doverosa e dolorosa premessa.

Ursula von der Leyen, una specie di Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg un po’ cresciutella, nel suo discorso alla seduta plenaria del Parlamento Europeo, da eletta a Presidente della Commissione, nel Novembre del 2019 disse: “il Green Deal europeo sarà per l’Europa come lo sbarco dell’uomo sulla Luna”.

Quando, poi, l’Europa è stata devastata dal Covid-19, la Sig.ra von der Leyen, nel destinare le risorse messe in campo per contrastare la pandemia, non ha pensato ai milioni di disoccupati o alle migliaia di aziende che hanno chiuso i battenti, e ha “dato disposizioni” affinchè la gran parte dei fondi fosse indirizzata, comunque e solo, verso il Green Deal e la Digitalizzazione, invocando la ”dea” Resilienza.

Naturalmente nessuno in Europa, Italia compresa, ha sollevato eccezioni, e quindi, al momento, abbiamo i fondi europei ma li dobbiamo spendere come “comandato” dalla Sig.ra von der Leyen. Bisogna, comunque, dire che un certo margine di gestione dei fondi c’era, ma non ci sembra che i nostri governanti si siano dati troppo da fare per approfittarne. “L’Europa vuole così” è stato leitmotiv degli ultimi mesi.

Prendiamo in considerazione adesso il piatto forte dei finanziamenti europei; il famoso Recovery and Resilience Facility: nelle nostre casse, nel tempo, arriveranno circa 192 miliardi.

Da chiarire subito che, per quanto riguarda il Recovery, 122 miliardi sono prestiti che vanno restituiti con piani di rientro già previsti, ma anche i 70 miliardi di sovvenzioni dovranno necessariamente rientrare nelle casse europee, sotto forma di nuove tasse ma soprattutto con il sistema di redistribuzione, in base al meccanismo della contribuzione dei singoli Stati Membri.

Quindi, quando nei prossimi mesi e anni, vedremo migliaia di cantieri di lavori, quando vedremo nascere, dal nulla, nuove attività che nessuno capirà a cosa potranno servire, quando vedremo i cittadini spendere e spandere, il tutto con i fondi europei, dobbiamo essere consapevoli che quei soldi li dovremo tirare fuori tutti noi cittadini prima o dopo; anzi, forse più prima che dopo.

Entro giugno 2024, a tale proposito, la Commissione proporrà nuove fonti di entrate, ad esempio:

• Una nuova imposta sulle transazioni finanziarie
• Un nuovo contributo finanziario collegato al settore societario
• Una nuova base imponibile comune per l’imposta sulle società.
Per questi fondi in arrivo, comunque, il nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ricalcando in toto il dictat europeo, prevede tre assi strageci di indirizzo, e cioè:
• La digitalizzazione e l’innovazione di processi, prodotti e servizi
• La transizione ecologica,
• L’inclusione sociale.
Tutti i fondi dovranno inoltre essere incanalati in sei Funzioni:
• Transizione verde; 60 mld dei quali 24 mld per energia rinnovabile
• Trasformazione digitale; 40 mld di cui 24 mld per la digitalizzazione del sistema produttivo
• Istruzione e ricerca; 30 mld
• Infrastrutture mobilita sostenibile; 25 mld
• Coesione sociale e inclusione; 20 mld
• Salute; 15 mld

L’Unione Europea, inoltre, ci ha comandato, sempre con gli stessi fondi, di mettere mano a due Riforme Orizzontali:

• Pubblica Amministrazione
• Giustizia

e a due Riforme Abilitanti:

• Semplificazione
• Promozione della concorrenza

Dopo questo breve riassunto dei contenuti del PNRR ci sentiamo di fare alcune considerazioni di carattere generale.

Forse il Governo Italiano poteva risparmiarsi di spendere soldoni e sprecare tempo prezioso, per organizzare, in piena pandemia, gli “Stati generali” “Progettiamo il rilancio”; una settimana e più di chiacchere inutili nella lussuosa
Villa Pamphilj a Roma. Affermiamo ciò perché a quel tempo non si conosceva nemmeno l’entità delle somme che l’Unione Europea aveva in animo di stanziare ma, soprattutto l’U.E. non aveva ancora stabilito come gli stati membri dovevano utilizzare i fondi.

Parlando poi delle somme in quanto tali, a noi, con varie integrazioni di bilancio, arriveranno, in diverse tranche, circa 238 miliardi; bene “enorme” somma basterebbe appena ad abbattere il solo aumento del nostro debito pubblico per un anno o due. Se poi pensiamo che tutte le somme dovranno, nel breve, essere restituite, ci sembra che tutto l’entusiasmo dimostrato dai nostri governanti sia un tantino esagerato.

Altro che piano Marshall!

Non per girare il coltello nella piaga, ma va detto che l’Italia, secondo la Corte dei Conti Ue, utilizza mediamente i fondi europei per un massimo del 30,7 % e non si capisce perché questa consolidata brutta tendenza debba adesso cambiare.

A questo punto, fatte le suindicate doverose premesse e considerazioni, cerchiamo di capire come il P.N.R.R. potrà incidere positivamente sul mondo del lavoro.

Non potendo, per questioni di tempo e di spazio, illustrare tutte le 260 pagine del Piano, ci limitiamo a fare delle considerazioni di carattere generale.
La prima è che nelle pieghe del Piano le parole “lavoro”, “occupazione” e via dicendo non compaiono; questo ci fa pensare che i benefici per il mondo del lavoro, speriamo, debbano venir fuori, indirettamente, come logica conseguenza della creazione di un business assai complesso, riguardante la digitalizzazione, la transizione ecologica e l’innovazione.
Quindi se non siamo completamente fuori strada, e non lo pensiamo, il Governo, questo ed il prossimo, utilizzando i fondi europei dovrebbe creare migliaia di nuove imprese, riconvertire migliaia di imprese già esistenti per attuare il “Green Deal” e coseguentemente creare milioni di posti di lavoro.

Per quanto armati di buona volontà, non riusciamo ad immaginare come questo progetto potrà attuarsi ed ancora meno riusciamo a comprendere come possano le riforme della Pubblica Amministrazione o della Giustizia creare posti di lavoro.
La parola “riforma” in Italia negli ultimi decenni è stata sempre foriera di brutte esperienze; ci ha portato solo scandali, incriminazioni eccellenti, spese inutili ed aumenti di tasse per i cittadini.

Vorremmo essere tanto più ottimisti ma la nostra pluriennale esperienza sul campo ci invita a tenere un basso profilo; infatti temiamo che per le riforme verranno investiti troppi capitali rispetto a quanti verranno impiegati per la creazione di aziende “produttive” e quindi di posti di lavoro.

Il nostro velato pessimismo non svanisce leggendo che il PNRR prevede che: “La digitalizzazione è un abilitatore trasversale ad ampio spettro: dalla piattaforma per la selezione e il reclutamento delle persone, alla formazione, alla gestione delle procedure amministrative e al loro monitoraggio”, oppure che “Il P.N.R.R. favorirà l’ingresso di professioni del futuro, tra le altre, digitale e big data”, oppure che “Il turnover previsto può rappresentare una grande opportunità, se gestito consapevolmente, non solo per ringiovanire il volto della PA, ma anche per ridefinire le competenze, più profili tecnici e soft skills”, oppure “Sulle persone si gioca il successo non solo del PNRR, ma di qualsiasi politica pubblica indirizzata a cittadini e imprese. Il miglioramento dei percorsi di selezione e reclutamento è un passo importante per acquisire le migliori competenze ed è determinante ai fini della formazione, della crescita”.

Come parole sono anche belle, come intenzioni anche ma poi in che modo concreto aumenterà l’occupazione? Perché, per quel che pensiamo noi, siamo in presenza di una grande manovra che porterà a migliaia di nuove figure lavorative, moderne e di alta specializzazione; ma questi lavoratori dovranno, per forza, sostituirne altri, considerati ormai non più idonei.
Cosa accadrà a questi ultimi non è ancora chiaro.

Il nostro giudizio da sindacalisti, quindi, su questa seconda fase degli aiuti per la pandemia, resta per forza sospeso; bisognerà studiare bene tutte le leggi che il Governo varerà per l’applicazione puntuale del P.N.R.R. ed aspettare la loro attuazione ma soprattutto la loro applicazione nella pratica quotidiana.
Certo che le linee guida dettate dalla Sig.ra Ursula von der Leyen e i risicati margini di manovra previsti nelle stesse, non ci rendono sereni perché troppe volte abbiamo assistito a manovre economico-finanziarie che hanno pesantemente penalizzato il mondo del lavoro ed arricchito i “soliti noti”.

Q.S.

LA MANNA CADUTA DAL CIELO DI BRUXELLES. MA PER CHI?
Parte seconda

Quando abbiamo finito di leggere le circa 260 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, siamo stati pervasi da un moto di stupore. Sembrava di aver appena letto quello che il Segretario di Stato USA Marshall, nel 1947, aveva in animo di fare, per risollevare l’Europa appena uscita da una devastante Guerra Mondiale.

Forse il paragone è irriverente, ma sicuramente l’ampiezza degli interventi previsti nel PONS dal nostro Governo non è certo trascurabile.
Per capire bene, comunque, come gli investimenti studiati possano aiutare in maniera consistente il mondo del lavoro e quindi l’occupazione, perché è questo che interessa la nostra Organizzazione Sindacale, bisogna fare una doverosa e dolorosa premessa.

Ursula von der Leyen, una specie di Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg un po’ cresciutella, nel suo discorso alla seduta plenaria del Parlamento Europeo, da eletta a Presidente della Commissione, nel Novembre del 2019 disse: “il Green Deal europeo sarà per l’Europa come lo sbarco dell’uomo sulla Luna”.

Quando, poi, l’Europa è stata devastata dal Covid-19, la Sig.ra von der Leyen, nel destinare le risorse messe in campo per contrastare la pandemia, non ha pensato ai milioni di disoccupati o alle migliaia di aziende che hanno chiuso i battenti, e ha “dato disposizioni” affinchè la gran parte dei fondi fosse indirizzata, comunque e solo, verso il Green Deal e la Digitalizzazione, invocando la ”dea” Resilienza.

Naturalmente nessuno in Europa, Italia compresa, ha sollevato eccezioni, e quindi, al momento, abbiamo i fondi europei ma li dobbiamo spendere come “comandato” dalla Sig.ra von der Leyen. Bisogna, comunque, dire che un certo margine di gestione dei fondi c’era, ma non ci sembra che i nostri governanti si siano dati troppo da fare per approfittarne. “L’Europa vuole così” è stato leitmotiv degli ultimi mesi.

Prendiamo in considerazione adesso il piatto forte dei finanziamenti europei; il famoso Recovery and Resilience Facility: nelle nostre casse, nel tempo, arriveranno circa 192 miliardi.

Da chiarire subito che, per quanto riguarda il Recovery, 122 miliardi sono prestiti che vanno restituiti con piani di rientro già previsti, ma anche i 70 miliardi di sovvenzioni dovranno necessariamente rientrare nelle casse europee, sotto forma di nuove tasse ma soprattutto con il sistema di redistribuzione, in base al meccanismo della contribuzione dei singoli Stati Membri.

Quindi, quando nei prossimi mesi e anni, vedremo migliaia di cantieri di lavori, quando vedremo nascere, dal nulla, nuove attività che nessuno capirà a cosa potranno servire, quando vedremo i cittadini spendere e spandere, il tutto con i fondi europei, dobbiamo essere consapevoli che quei soldi li dovremo tirare fuori tutti noi cittadini prima o dopo; anzi, forse più prima che dopo.

Entro giugno 2024, a tale proposito, la Commissione proporrà nuove fonti di entrate, ad esempio:

• Una nuova imposta sulle transazioni finanziarie
• Un nuovo contributo finanziario collegato al settore societario
• Una nuova base imponibile comune per l’imposta sulle società.
Per questi fondi in arrivo, comunque, il nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ricalcando in toto il dictat europeo, prevede tre assi strageci di indirizzo, e cioè:
• La digitalizzazione e l’innovazione di processi, prodotti e servizi
• La transizione ecologica,
• L’inclusione sociale.
Tutti i fondi dovranno inoltre essere incanalati in sei Funzioni:
• Transizione verde; 60 mld dei quali 24 mld per energia rinnovabile
• Trasformazione digitale; 40 mld di cui 24 mld per la digitalizzazione del sistema produttivo
• Istruzione e ricerca; 30 mld
• Infrastrutture mobilita sostenibile; 25 mld
• Coesione sociale e inclusione; 20 mld
• Salute; 15 mld

L’Unione Europea, inoltre, ci ha comandato, sempre con gli stessi fondi, di mettere mano a due Riforme Orizzontali:

• Pubblica Amministrazione
• Giustizia

e a due Riforme Abilitanti:

• Semplificazione
• Promozione della concorrenza

Dopo questo breve riassunto dei contenuti del PNRR ci sentiamo di fare alcune considerazioni di carattere generale.

Forse il Governo Italiano poteva risparmiarsi di spendere soldoni e sprecare tempo prezioso, per organizzare, in piena pandemia, gli “Stati generali” “Progettiamo il rilancio”; una settimana e più di chiacchere inutili nella lussuosa
Villa Pamphilj a Roma. Affermiamo ciò perché a quel tempo non si conosceva nemmeno l’entità delle somme che l’Unione Europea aveva in animo di stanziare ma, soprattutto l’U.E. non aveva ancora stabilito come gli stati membri dovevano utilizzare i fondi.

Parlando poi delle somme in quanto tali, a noi, con varie integrazioni di bilancio, arriveranno, in diverse tranche, circa 238 miliardi; bene “enorme” somma basterebbe appena ad abbattere il solo aumento del nostro debito pubblico per un anno o due. Se poi pensiamo che tutte le somme dovranno, nel breve, essere restituite, ci sembra che tutto l’entusiasmo dimostrato dai nostri governanti sia un tantino esagerato.

Altro che piano Marshall!

Non per girare il coltello nella piaga, ma va detto che l’Italia, secondo la Corte dei Conti Ue, utilizza mediamente i fondi europei per un massimo del 30,7 % e non si capisce perché questa consolidata brutta tendenza debba adesso cambiare.

A questo punto, fatte le suindicate doverose premesse e considerazioni, cerchiamo di capire come il P.N.R.R. potrà incidere positivamente sul mondo del lavoro.

Non potendo, per questioni di tempo e di spazio, illustrare tutte le 260 pagine del Piano, ci limitiamo a fare delle considerazioni di carattere generale.
La prima è che nelle pieghe del Piano le parole “lavoro”, “occupazione” e via dicendo non compaiono; questo ci fa pensare che i benefici per il mondo del lavoro, speriamo, debbano venir fuori, indirettamente, come logica conseguenza della creazione di un business assai complesso, riguardante la digitalizzazione, la transizione ecologica e l’innovazione.
Quindi se non siamo completamente fuori strada, e non lo pensiamo, il Governo, questo ed il prossimo, utilizzando i fondi europei dovrebbe creare migliaia di nuove imprese, riconvertire migliaia di imprese già esistenti per attuare il “Green Deal” e coseguentemente creare milioni di posti di lavoro.

Per quanto armati di buona volontà, non riusciamo ad immaginare come questo progetto potrà attuarsi ed ancora meno riusciamo a comprendere come possano le riforme della Pubblica Amministrazione o della Giustizia creare posti di lavoro.
La parola “riforma” in Italia negli ultimi decenni è stata sempre foriera di brutte esperienze; ci ha portato solo scandali, incriminazioni eccellenti, spese inutili ed aumenti di tasse per i cittadini.

Vorremmo essere tanto più ottimisti ma la nostra pluriennale esperienza sul campo ci invita a tenere un basso profilo; infatti temiamo che per le riforme verranno investiti troppi capitali rispetto a quanti verranno impiegati per la creazione di aziende “produttive” e quindi di posti di lavoro.

Il nostro velato pessimismo non svanisce leggendo che il PNRR prevede che: “La digitalizzazione è un abilitatore trasversale ad ampio spettro: dalla piattaforma per la selezione e il reclutamento delle persone, alla formazione, alla gestione delle procedure amministrative e al loro monitoraggio”, oppure che “Il P.N.R.R. favorirà l’ingresso di professioni del futuro, tra le altre, digitale e big data”, oppure che “Il turnover previsto può rappresentare una grande opportunità, se gestito consapevolmente, non solo per ringiovanire il volto della PA, ma anche per ridefinire le competenze, più profili tecnici e soft skills”, oppure “Sulle persone si gioca il successo non solo del PNRR, ma di qualsiasi politica pubblica indirizzata a cittadini e imprese. Il miglioramento dei percorsi di selezione e reclutamento è un passo importante per acquisire le migliori competenze ed è determinante ai fini della formazione, della crescita”.

Come parole sono anche belle, come intenzioni anche ma poi in che modo concreto aumenterà l’occupazione? Perché, per quel che pensiamo noi, siamo in presenza di una grande manovra che porterà a migliaia di nuove figure lavorative, moderne e di alta specializzazione; ma questi lavoratori dovranno, per forza, sostituirne altri, considerati ormai non più idonei.
Cosa accadrà a questi ultimi non è ancora chiaro.

Il nostro giudizio da sindacalisti, quindi, su questa seconda fase degli aiuti per la pandemia, resta per forza sospeso; bisognerà studiare bene tutte le leggi che il Governo varerà per l’applicazione puntuale del P.N.R.R. ed aspettare la loro attuazione ma soprattutto la loro applicazione nella pratica quotidiana.
Certo che le linee guida dettate dalla Sig.ra Ursula von der Leyen e i risicati margini di manovra previsti nelle stesse, non ci rendono sereni perché troppe volte abbiamo assistito a manovre economico-finanziarie che hanno pesantemente penalizzato il mondo del lavoro ed arricchito i “soliti noti”.

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