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Le favole stordiscono gli ingenui e nutrono i bugiardi

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A cura di
Ennio De Luca

Il sogno proibito dei banchieri, non solo italiani, è quello di trasformare maestranze e clienti in docili vacche Frisone. Perfino il bancario ha scoperto che l’arroganza dei manager si rafforza in funzione della sottrazione dei suoi diritti, ma fa poco, anzi nulla, per impedirlo.

Il mio amico Sergio ha ragione quando chiosa: “Il settore della Banca Finanza è carente di manager preparati e di personale formato Se l’organizzazione del lavoro è la corrente che alimenta l’azienda, il suo generatore è la formazione. Formazione manageriale per elaborare piani industriali sfidanti e vincenti e formazione delle maestranze, per assicurare la qualità e il successo dei progetti. Tant’è importante la formazione che anche l’intellighenzia costituzionale le dedicò, una pluralità di articoli (art. 27: “rieducazione del condannato”; art. 30 “dovere e diritto dei genitori di educare”; art. 33 “istituti di educazione”; art.35 “formazione ed elevazione professionale”; art.38 “educazione e avviamento professionale”,) facendo di essa una sequenza che partiva dalla famiglia, attraversava la scuola ed arrivava al lavoro. La formazione imprenditoriale, che qui c’interessa, è una regola basica anche in economia aziendale e malgrado i fatti ci rappresentino un’altra verità, anche i banchieri e i sindacalisti la esaltano. La formazione è necessaria per assicurare la qualità delle risorse, è uno strumento per tutelare l’occupazione, migliorare la crescita, lo sviluppo delle competenze, favorire le carriere”, realizzare le trasformazioni del sistema, valutare le risorse, vendere di più, assecondare i bisogni crescenti della clientela. Anche in occasione della stesura del Protocollo Nazionale sulle Politiche commerciali e sull’ organizzazione del lavoro del 08 febbraio 2017, ci si dilungò sul valore dell’informazione inclusiva, della formazione continua trasversale e specialistica e dell’imprescindibile e sempre costante esigenza di aggiornamento del personale. Noi che dubitiamo della sincerità dei banchieri dal naso lungo, sappiamo bene che la formazione, soprattutto quella buona, è centellinata e riservata ad una casta di privilegiati, mentre la maggior parte dei lavoratori ne riceve una quota insufficiente e spesso non pertinente alle mansioni d’ufficio. Eppure la formazione, oltre ad essere un acceleratore di successo è anche un’obbligazione aziendale. Il CCNL di categoria – “Doveri e diritti del personale” – obblighi delle parti: ci ricorda che “L’impresa deve porre il lavoratore in condizione di conoscere le procedure di lavoro predisposte dall’impresa stessa con riferimento specifico alle mansioni che il lavoratore medesimo è, di volta in volta, chiamato ad espletare. L’’assenza o la carenza formativa generano, insieme ad una cattiva organizzazione, una serie di effetti collaterali, tra i quali, è sotto gli occhi di tutti, lo stress lavoro correlato (i lavoratori si ammalano perché non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro). La salute è uno dei pilastri su cui si poggia la nostra carta costituzionale tanto che vi dedica diversi articoli: Art 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività”; Art 35 “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”; Art 38 “I lavoratori hanno diritto che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio; Art 41 “L’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Senza dilungarmi sul copioso apparato normativo di derivazione comunitaria e nazionale, compito che esula da questa superficiale trattazione, segnalo l’articolo 2087 del codice civile (“l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”) e il D.lgs. 81/2008, l’onnicomprensivo “Testo Unico sulla salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro”, un riassunto organico e costantemente aggiornato delle principali norme susseguitesi nel tempo in questo ambito. Chiudo la considerazione salutistica richiamando l’art.9 dello Statuto dei Lavoratori, che recita: “I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica. Una disposizione incomprensibilmente trascurata dai sindacati, oggi orientati a rimettere solo ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (figura di mediazione) il dovere istituzionale dei controlli.

Le bugie: Stile di vita e necessità comunicativa

Neppure Edmondo De Amicis, autore del mieloso libro “Cuore” e impegnato a promuovere le virtù civili dei ragazzi del 1886, sarebbe riuscito a commuovere gli italiani con astrazioni simili a quelli che trasudano dai Codici Etici elaborati dalla Banche italiane. Nella prima pagina di questi vangeli profani, annoterei un simpatico aforisma: “Quando la volpe predica, guardatevi, galline. Si, perché a partire dal top management fino ad arrivare all’ultima linea della dirigenza, quella segretamente chiamata a spremere fino all’esaurimento le maestranze, tutti sanno che i sacramenti aziendali contenuti in quei “pamphlet” sono solo “fumo negli occhi”.
L’articolo 2104 del codice civile (regola) ci ricorda che “Il prestatore di lavoro subordinato nello svolgimento della sua attività lavorativa deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, nell’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale; deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. La norma è ripresa anche dalla contrattazione di settore dove si legge: “Il personale ha il dovere di dare all’impresa, nella esplicazione della propria attività di lavoro, una collaborazione attiva ed intensa, secondo le direttive dell’impresa stessa e le norme del presente contratto”. Questa norma è riprodotta anche in altre disposizioni ma a Noi non interessa andare oltre per capire che il lavoratore subordinato è onerato solo da un’obbligazione di mezzi e non di risultato; il raggiungimento degli obiettivi economici rientra nel rischio imprenditoriale ed è dovere e responsabilità della sola dirigenza (anche se varrebbe la pena aprire una parentesi ed iniziare a ragionare sugli sconfinamenti dello smart working). Quanto precede ci consente di affermare che, sia per le aree professionali sia per i quadri direttivi, fissare degli obiettivi (budget) è lecito ma pretenderli è illegale e lo è ancora di più quando, nel tentativo di raggiungerli, non solo si disattendono le leggi e gli accordi ma si assumono anche comportamenti che ledono il bene costituzionale della salute. In Inghilterra i fantini che frustano troppo i cavalli vengono sanzionati dagli ispettori di gara; per i bancari italiani c’è meno attenzione. Per vincere la sindrome dell’ufficio malato la dirigenza bancaria, prima di pensare alla musica, dipingere le pareti di blu per stimolare la mente, di verde per il relax e di giallo per la creatività, finanziare squadre di calcio, concorsi di ballo e giornalisti da botteghino, farebbe molto meglio ad investire sulla formazione, sui principi valoriali, su una rinnovata etica del lavoro e sul rispetto della normativa.

Il sindacalista e il politico

Nel secolo breve si diceva che la differenza tra la promessa di un politico e quella di un sindacalista risiedeva nel tempo di smascheramento. Si, perché mentre il politico poteva promettere miracoli che si sarebbero realizzati nel futuro dei figli, analoga furberia non era consentita al sindacalista, alle prese con problemi che richiedevano una soluzione nel presente.

Oggi sembra che i sindacalisti siano posseduti da uno strano attivismo, una dinamicità che si dispiega con la sottoscrizione dei contratti più azzardati e degli accordi più inutili, spesso replicanti il contenuto di una legge, quasi che il Parlamento necessitasse di una seconda approvazione per rendere le sue deliberazioni esigibili (l’attuale è una tragica eccezione). Un esempio calzante è l’Accordo nazionale sulle politiche commerciali e l’organizzazione del lavoro (Roma, 8 febbraio 2017) il cui scopo dichiarato era quello di favorire un clima collaborativo e costruttivo nei luoghi di lavoro e di indicare la buona via per uno sviluppo socialmente sostenibile e compatibile. A parere di chi scrive, il “Protocollo” non è altro che uno strumento di rilancio reputazionale dello screditato management bancari italiano. Quello che si legge nel documento non aggiunge una virgola ai diritti dei lavoratori, ben più autorevolmente normati dalla disciplina lavoristica e l’equivocità di alcuna affermazione addirittura li depotenzia. Leggiamo le proposizioni più significative:
• Le politiche commerciali devono essere sostenibili e rispettose della dignità dei lavoratori;
• Le imprese, nel perseguire i propri obiettivi economici, devono mirare soprattutto all’eccellenza delle performance, in termini di “qualità e valore” dei prodotti e servizi offerti;
• La formazione e la comunicazione sono fondamentali per un’adeguata conoscenza della normativa vigente in materia;
• E’ necessario un costante aggiornamento del personale al fine di favorire l’adozione di comportamenti professionali, rispettosi delle norme;
• E’ necessario diffondere la conoscenza dei principi generali di responsabilità sociale, di sostenibilità e i codici etici;
• E’ necessario garantire una formazione continua, specifica e specialistica nell’ambito della dotazione annuale prevista dal Ccnl, sul presupposto che la formazione rappresenta un elemento di imprescindibile importanza per lo sviluppo e la valorizzazione delle competenze di natura relazionale, manageriale e gestionale per accrescere la capacità competitiva delle banche;
• E’ necessario favorire un positivo clima aziendale di rispetto, fiducia e coesione, favorendo la collaborazione tra colleghi nella logica di alimentare lo spirito di squadra ed eventualmente prevedendo appositi momenti di comunicazione interna per dare opportuna evidenza al canale dell’“ascolto attivo”;
• Le comunicazioni aziendali devono essere improntate al rispetto della normativa vigente, senza messaggi che possano risultare fuorvianti o vessatori nei confronti dei lavoratori e lesivi della loro dignità e professionalità;
• Le riunioni di orientamento commerciale devono essere effettuate nel rispetto delle norme sulla prestazione lavorativa;
• il monitoraggio per la verifica degli andamenti commerciali deve inibire, ai vari livelli, condotte improprie ed indebite pressioni lesive della dignità e professionalità dei lavoratori;
• La rilevazione dei dati commerciali, deve essere effettuata, di norma, attraverso l’utilizzo degli strumenti approntati e messi a disposizione dall’azienda, evitando gli abusi, l’eccessiva frequenza e le inutili ripetizioni;
• Le Parti sottolineano che i sistemi incentivanti: devono essere fondati su criteri “realistici”, equi e trasparenti e su obiettivi sostenibili, sia di carattere quantitativo che qualitativo, ponendo, in particolare, la massima attenzione nelle fasi di assegnazione degli obiettivi e di eventuale variazione degli stessi;
• Dovranno prevedere un’assegnazione chiara degli obiettivi da parte delle competenti funzioni aziendali, sia per quanto riguarda le regole che gli strumenti messi a disposizione, valorizzando il lavoro di squadra e la professionalità dei singoli lavoratori

Attenzione alle ultime due:
• Le Parti si danno atto che il mancato raggiungimento degli obiettivi quantitativi commerciali di per sé non determina una valutazione negativa e non costituisce inadempimento del dovere di collaborazione attiva ed intensa ai sensi, rispettivamente, degli artt. 75 e 38, comma 2, del Ccnl 31 marzo 2015.;
• Le parti (ma anche i lavoratori) segnalino eventuali comportamenti non conformi

Tra le schiumose affermazioni, manca solo la dichiarazione di Voltaire: “Il lavoro allontana la noia, il vizio ed il bisogno”. Peccato che nessuno abbia pensato di corredare le altisonanti prescrizioni di adeguate sanzioni per i contravventori.

Come ho scritto altrove “Nel paese di Pulcinella”, quando non si scherza non è detto che si faccia sul serio.”

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