HomeVALORI SINDACALINessuna lezione, solo alcune considerazioni per stimolare la riflessione

Nessuna lezione, solo alcune considerazioni per stimolare la riflessione

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A cura di: Ennio De Luca

Prima di arrivare ai diritti del lavoro, il cui percorso acquisitivo è oggi ai più sconosciuto, l’umanità ha percorso, più volte, i nove cerchi dell’Inferno Dantesco. 

Che il diritto nasca da un desiderio è molto probabile mentre è indubbio che il desiderio, prima di trasformarsi in diritto, abbia assunto le sembianze della richiesta.

La trasformazione della richiesta in diritto, molto di più del passaggio dal desiderio alla richiesta, ha seguito un percorso di indicibili sofferenze.

È bene conoscere la storia, per non ripetere gli errori del passato, perché il futuro, se non replica il vissuto, ne ripercorre sempre la trama. 

Oggi, la generazione dei diritti dell’uomo è un’eredità giacente nelle mani dei curatori di una ricostituita tirannia, tant’è che da 40 anni non facciamo che perderli o svilirli.

Il declino dei diritti del lavoro e il continuo attacco al suo ordinamento, sono lo specchio di una risorta aristocrazia elitaria, così pervasiva e persuasiva da oscurare la realtà, alterare la logica ed inibire l’azione collettiva.

La democrazia è un sistema politico aperto ed esposto a grandi ed improvvisi scostamenti, distacchi che possono anche degenerare in una rottura irreparabile dei suoi meccanismi di aggiustamento automatico.

Un grande liberale, Thomas Jefferson, un uomo culturalmente ed umanamente inattaccabile, terzo presidente degli Stati Uniti d’America, massimo ispiratore della dichiarazione d’indipendenza del 1776 e strenuo difensore della democrazia, in un’importante assise del 1787 dichiarava:

“L’albero della libertà deve essere rinvigorito, di tanto in tanto, con il sangue dei patrioti e dei tiranni”.  

Esso rappresenta il concime naturale.”

Thomas Jefferson, conosceva in profondità il valore della democrazia e anche l’imperativo religioso della sua difesa:

“La ribellione ai tiranni è obbedienza di Dio”.

Nessuno si spaventi, ma sono passati più di due secoli da allora, e siamo ancora in attesa di scoprire la terza via.

Le dichiarazioni dell’uomo, il cui volto è ritratto sul monte Rushmore accanto a quelli di George Washington Abraham Lincoln e Theodore Roosevelt, mi soccorrono per rinforzare un principio fondante della democrazia, quello della partecipazione consapevole. 

Non lasciate che altri decidano per Voi e questo non solo in politica ma anche nelle cose della vita e soprattutto nelle dinamiche del lavoro. Ricordatevi che i diritti di qualcuno sono sempre I doveri di qualcun altro, sempre traducibili in denaro, in potere o in potere e denaro.

Le società edoniste, come la nostra, non cedono ricchezza e potere se non sono costrette a farlo e la storia ci ricorda che prima di farlo hanno sempre seminato il terrore.

Non ci siamo liberati dalle catene del servaggio con le preghiere, con i girotondi o con le fiaccolate della pace ma, ahimè, con il sacrificio di uomini e donne che spesso hanno offerto la loro vita sull’altare di quelle idee che hanno sparso il seme del diritto del lavoro e dello stato sociale, istituzioni che, stando così le cose, tra una decina d’anni potremo solo rievocare.

Mi avvio così alla conclusione, rivolgendo il pensiero a quell’organismo di rappresentanza che conosco meglio e che servo ed onoro da quasi quarant’anni: “Il sindacato”. 

Esso ha perso, dimentico della sua storia, forse inconsapevolmente, forse per mancanza di visione, forse per incapacità o avidità dei suoi quadri, lo spirito primigenio, oscillando tra una società di servizi, un club di mediatori di accordi inutili, una consorteria di prezzolati e un ammortizzatore delle malefatte aziendali. In un’altra mia riflessione ho scritto: Il sindacato opera, o quanto meno dovrebbe operare, in un’area esterna alla logica del profitto, dove la rettitudine, l’impegno e la buona formazione dovrebbero prevalere sull’arte della vendita e della manipolazione del consenso; dove la simpatia e perfino l’amicizia dovrebbero restarne fuori dalla porta. 

Il vero sindacalista è fedele ad un progetto che poggia su delle idee che a loro volta attingono da una filosofia che sposa gli interessi della parte che rappresenta.

Ecco perché l’amicizia (si badi bene, in ambito sindacale) può costituire un problema: Per non tradire l’amico tradisco la comunità!  Io credo nel sindacato ma lo vorrei com’era un tempo, un’istituzione “faziosa” che agisce a difesa e per il riscatto dei diritti dei lavoratori e che quando formula delle proposte, non antepone l’interesse di alcuno al credo delle sue idee.

Fuori dal perimetro di rappresentanza, il sindacato deve emanciparsi da qualsiasi analisi etica o morale.

Esso deve difendere il presente pensando al futuro, seguendo paradigmi ideologici di affermazione.

Il sindacato non è nato per rinunciare, ma per combattere e per vincere, alla più disperata per transigere.

In un mondo dove le regole sono imposte da un numero insignificante di satrapi intoccabili o maturiamo la consapevolezza e la responsabilità collettiva, indispensabili per cambiare le regole o l’alternativa che ci attende, con un triste ritorno al passato, non saranno le paciose sardine ma un nuovo ed ancora più inquietante ritorno delle camice brune.    

                                                    

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