Quando si parla di povertà, bisogna essere sempre molto prudenti.
Innanzitutto bisogna capire bene di che povertà si parli;
sembrerebbe un paradosso ma, oggigiorno, ci sono diversi tipi di povertà; sempre di povertà si tratta ma con la differenza che, a seconda del momento politico, della fonte interrogata ma anche della convenienza delle parti in causa, essa è presentata in maniera assai diversa.
Certamente bisognerebbe fare chiarezza sul metodo di certificazione di questo dato sociale; nel senso che, chi di dovere, dovrebbe stabilire delle regole certe; cosa che attualmente in Italia non avviene.
Le fonti sono tantissime: Istat, Adnkronos, Agi e decine di agenzie create ad hoc da partiti, sindacati, imprenditori, dalla Chiesa, etc.etc.
L’Istat, come organismo ufficiale di statistica, dovrebbe essere la fonte più attendibile; col tempo e la vecchiaia ho imparato che, invece, l’Istituto è sempre asservito alla volontà del Governo in carica e, quindi, i suoi grafici vanno presi con cautela.
I dati, comunque, facendo delle medie e dei tagli opportuni, ci rappresentano un panorama della povertà variegato e non sempre rispettoso verso coloro che la povertà la vivono in prima persona; oltretutto ogni giorno il cittadino è inondato di statistiche sulla povertà che possono dare un quadro non sempre veritiero della situazione.
Mi dicono e ci dicono che esistono diverse tipologie di povertà; povertà assoluta, povertà relativa, povertà temporanea, “le moderne povertà” e altre ancora. Ognuna di queste definizioni, scaturisce da diverse valutazioni, non sempre oggettive; ogni valutazione, quindi, contribuisce poi a decisioni apicali differenti e difficilmente eque.
Diamo, comunque, qualche dato, cercando di stare fuori dalle dispute sui numeri ma guardando un po’ più in là dell’orizzonte; il CIRCA, quindi, è d’obbligo.
Le suindicate eccellenti fonti, affermano che, in Italia, ci sono 1.800.000 famiglie in condizione di povertà assoluta. Altro concetto ormai accettato a livello generale è che, più passano gli anni, più diminuiscono i soggetti che vivono in povertà relativa ma crescono quelli che si trovano in povertà assoluta; questo vuol dire che coloro che sono “moderatamente” poveri finiscono per diventare “assolutamente” poveri.
La soglia di povertà assoluta rappresenta la spesa minima necessaria per acquistare beni e servizi di prima necessità (come quelli alimentari e legati alla salute) inseriti nel paniere di povertà assoluta.
La povertà relativa è invece un concetto diverso, perché fa sì riferimento all’impossibilità di acquistare determinati beni e servizi, ma in relazione al reddito pro-capite medio di un Paese.
Soffermiamoci un attimo sulle sottolineature dei due concetti suesposti; balza all’occhio che non ci troviamo di fronte a dati certi e determinati, ma variabili, secondo valutazioni fatte da questo o da quel Governo, da una o dall’altra associazione.
Per gli Amici Imba della Namibia, (che ho avuto la fortuna di andare a visitare ed, in qualche modo di aiutare) al confine con l’Angola, che dormono in capanne, girano nudi, mangiano pastoni di cereali e devono fare quattro chilometri a piedi per trovare acqua potabile, dormire in un centro di accoglienza della Caritas, avere due pasti al giorno e dei vestiti puliti, vorrebbe dire ricchezza; questo ultimo standard in Italia equivale invece a povertà assoluta.
A mio avviso, quindi, prima di tutto e SEMPRE, chi diffonde dati sulla povertà dovrebbe contemporaneamente specificare, in modo chiaro e inequivocabile, i parametri minimi che hanno dato origine allo studio. Attenzione, cadere in errore su questi temi è molto grave.
Se noi, parlando di povertà di qualsiasi tipo, includiamo nel paniere, per il suo calcolo, il possesso o meno di un televisore a colori, commettiamo sacrilegio e offendiamo i veri poveri.
Allo stesso modo che, se parliamo di indigenza perché in una famiglia entra un solo stipendio, offendiamo chi è disoccupato e non ha da mangiare per coniuge e figli.
Bisogna capirsi bene, cari Amici, se dobbiamo sovvenzionare, con le poche risorse che abbiamo, coloro che non hanno i soldi per comprare una televisione a colori oppure coloro che non possono acquistare nemmeno i medicinali?
Occorre, quindi, essere molto accorti nel mettere i paletti che indicano e differenziano le povertà; possiamo essere d’accordo che se, oggigiorno, un bambino di dieci anni non ha i soldi per uno smartphone è considerato dai suoi compagni emarginato; però quel bambino non è povero come i bambini degli Imba. Se in Italia c’è stata una crescita sociale, a mio modesto avviso, non dobbiamo sfruttare la situazione per creare nuovi tipi di povertà FITTIZIA, ma per aiutare chi vive in povertà assoluta.
La continua crescita della forbice ricchezza/povertà in un paese come il nostro non dovrebbe essere tollerata.
Concludendo, io penso che bisogna mettere mano con onestà al problema; essere consci che ci sono famiglie che stanno meglio e quelle stanno peggio ma, cosa ancora più importante, individuare i soggetti VERAMENTE poveri; aiutarli e indirizzare in quella direzione notevoli risorse.
La povertà non deve essere una vergogna.