Iniziamo dalle fondamenta; il primo articolo del sacro testo:
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione
LAVORO “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”
Il Lavoro e la sovranità popolare danno la stura alla madre di tutte le leggi e, al contempo, rappresentano il primo atto della serialità bugiarda che contrassegna tutta la nostra classe politica; materiale satirico per l’ennesimo teatrino di Crozza. Il lavoro, termine ridondante e menzionato ben 33 volte nella Sacra Carta, è posto a fondamento della Repubblica; un diritto-dovere del cittadino, promosso dall’ordinamento affinché braccia e menti dell’italico paese potessero operare nel comune obiettivo di arricchire, contemporaneamente, lavoratore e comunità ospitante. Lavoro inteso come partecipazione di tutti all’edificazione di una società democratica, liberale e solidale
Lavoro come scelta libera e personale. Vale la pena soffermarsi, per un istante, sulla cosiddetta burrasca di Schumpeter, altrimenti denominata “distruzione creativa”, soluzione che oggi viene imposta all’Italia dal piccolo banker, l’uomo a cui abbiamo affidato la direzione del nostro Paese. Per il negoziatore del “Britannia” Il lavoratore non è padrone di scegliere dove e come impegnare il suo estro e le sue capacità creativo-lavorative ma deve adattarsi alla pianificazione dei mercati speculativi sovranazionali; l’esatto contrario della previsione costituzionale. Il “Mario Celeste” vuole avviarci verso una sollecita transizione ecologica e digitale, e poco importa se non ha interpellato alcuno, se manca la condivisione e se l’opzione non favorisce l’economia nazionale.
Prima dell’ultima frontiera. Da uno Smart Working consensuale siamo passati a quello in deroga e arriveremo, a breve, a quello cosiddetto “international, vero lecca lecca degli imprenditori: “Lo smart working international” decollato in contemporanea alle benemerite fabbriche rionali dei vaccini sperimentali, spazzerà definitivamente il concetto di lavoro com’è stato inteso dalla nostra costituzione. Stante il fine di massimizzazione dei profitti, DNA dell’iniziativa privata, quando, in un prossimo futuro, le aziende assumeranno ragionieri, geometri, insegnanti, psicologi, progettisti, ingegneri, informatici, ricercatori, analisti, avvocati, architetti, … pensate che assumeranno italiani o guarderanno, con maggiore favore, verso quei paesi dove il costo del lavoro è molto più basso e dove la legislazione lavoristica e inesistente o anelastica? Sottoscriveranno contratti collettivi di lavoro italiani o si rifugeranno nella deregolamentazione asiatica? L’India, per chi non lo sapesse, già oggi offre personale da remoto, altamente specializzato, ad un costo dal 50 al 75% inferiore a quello italiano. A livello sistemico si parla già di un abbassamento dei salari dal 9,5 al 26%. Gli apostoli di Confindustria, giurano che lo smart working avvicinerà le famiglie e renderà le città più green, sono bugie di mentitori compulsivi!
Nota. La madre di tutte le leggi dedica un terzo dei suoi Principi fondamentali al lavoro. Al titolo III, nell’area dei cosiddetti “Rapporti economici” (art. 35) ci ricorda che la tutela del lavoro riguarda tutte le sue forme ed applicazioni (non parla mai di distruzione creativa!!!), ammonisce (art. 36) che la sua valorizzazione (retribuzione) deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e che deve essere sempre sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Più avanti (art. 37), a quel tempo non scontata, dichiara che la lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. I costituenti non avevano dubbi sul fatto che la donna facesse qualcosa che a l’uomo non riesce, se non con la fantasia del decreto Zan, partorire una creatura. Così, anche per il miracolo che sa realizzare, la costituzione le riconosce una particolare protezione, similmente a quanto prevede (mantenimento e assistenza sociale) per i fanciulli, i cittadini inabili al lavoro e per chi è sprovvisto dei mezzi necessari per vivere (art. 38). L’impianto costituzionale è stato costruito, non dimentichiamo questo caposaldo, sul principio di solidarietà, valore che ritroviamo nell’equivalente diritto a vivere dignitosamente per chi si infortuna sul lavoro, è diventato invalido o disoccupato involontario. Insomma, la società è progettata sul principio della comunità solidale non sulla competizione, fulcro e paradigma degli ultimi governi italiani. Anche il tanto discusso articolo 41, è illuminante a tale proposito. Esso recita “L’iniziativa economica privata è libera” ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e conferisce, addirittura alla legge, il compito di determinare i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica (pubblica e privata) possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Colpevoli di alto tradimento. Anche se i parlamentari non giurano fedeltà alla Costituzione, lo fanno il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri, i ministri, le forze dell’ordine ed una miriade di servitori dello Stato. Chi scrive vuole dimostrare, e tenterà di farlo a più riprese, che la costituzione italiana è da tempo carta straccia. Supposto che riesca a convincervi, come pensate di agire dopo aver scoperto che state obbedendo ad un manipolo di traditori seriali? Farete una rivoluzione salvifica, una resistenza passiva o continuerete ad obbedire come una mandria di pecore pascenti?
Una breve riflessione sul lavoro, anzi, sul “diritto del lavoro”. l richiami alla dignità e alla comunità solidale, che ritroviamo in tutta la Costituzione si riverberano anche nella particolarità che contraddistingue questa branca del diritto privato. L’ho scritto a più riprese; il diritto del lavoro è un ordinamento coerentemente fazioso e guai se non lo fosse. Sul quadrato delle prestazioni subordinate si confrontano lavoratori, Davide senza fionda e imprenditori, Golia con il carro armato. È evidente che in assenza di leggi protettive, nel palesemente impari confronto, in una situazione di “parità giuridica” si imporrebbe la “legge del più forte”. Il diritto del lavoro è modellato per rendere il confronto tra le parti più equilibrato, più sopportabile, tale da assicurare tutela e dignità al lavoro e a chi lo rappresenta (sindacati). Così si era pensato, per evitare arbitrii e sopraffazioni, eccessi di piazza e rivolte sociali (frequenti nel secolo breve) assolutamente prevedibili quando l’ingiustizia supera la soglia dell’umana sopportazione. Oggi la legislazione sta repentinamente cambiando. Indovinate in quale direzione si sta muovendo?
SOVRANITA’ La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione
Il secondo comma del primo articolo della “suprema carta” ci ricorda che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Il problema della sovranità popolare nasce dalla desovranizzazione degli stati, investiti dalla liberalizzazione dei movimenti di capitali, dalla deregolamentazione dei mercati finanziari e dall’ apertura degli scambi commerciali. Per rispondere a chi si domanda se viviamo in una vera democrazia, dobbiamo capire se siamo realmente sovrani, se è realmente il popolo la fonte di legittimazione del potere degli organi costituzionali. Le riflessioni che seguono, al pari di uno scambio di commenti intelligenti tra amici al bar, se non permettono analisi di fioretto sono comunque delle sciabolate anche per i miopi di cervello. Possiamo compendiare la sovranità popolare in 3 partizioni: quella monetaria, quella militare e quella economica. Noi proviamo ad aggiungere ancora una, quella mediatica, intuitivamente concepita per nascondere le carte in tavola o, se preferite, per oscurarvi il cervello e sottrarvi i soldi di tasca
Sovranità monetaria. La sovranità monetaria permette allo stato di spendere in deficit per garantire ai cittadini i servizi e gli impegni che si è assunto di soddisfare con il patto costituzionale. Era un dogma dell’economia keynesiana, musa ispiratrice dei padri costituenti. Oggi, anche Alvaro Vitali, nella versione di Pierino fancazzista, sa bene che l’Italia dei mercati ha conferito l’esclusiva della politica monetaria alla UE, una decisione che ci ha precluso la possibilità di stampare banconote, una cessione al potere privato sovranazionale, intervenuta senza alcuna mediazione popolare quindi in spregio al dettato costituzionale. Una traslazione dalla signoria del popolo a quella dei mercati finanziari. Del resto, il credo liberista assimila lo stato ad una un’impresa obbligata al pareggio di bilancio e al pagamento dei debiti contratti. Un esproprio scandaloso che costringe il vecchio leviatano a chiedere denaro, condizionato e a stozzo. Facciamo stampare moneta fiat ai banchieri privati anziché stamparcela, alle medesime condizioni e a costo zero, in casa (res pubblica). L’assimilazione manipolatoria dello Stato all’impresa, di Berlusconiana memoria e di dragoniana condivisione, apre un faro su altre considerazioni che passano, purtroppo, sempre sottotraccia. In un’impresa non c’è libertà, i lavoratori non eleggono il consiglio di amministrazione, non decidono i piani industriali e la politica degli investimenti. In azienda non c’è democrazia, c’è una organizzazione verticistica nella quale alcuni comandano e i più obbediscono. Assimilando lo stato ad un’impresa la democrazia costituzionale va nel cassetto e li riposa per sempre. Lo stato-impresa indebitandosi può fallire come qualsiasi istituzione monetariamente desovranizzata; non così se dispone del potere di emissione della moneta, banalmente perché indebitandosi nella moneta che stampa non potrà mai restarne senza.
Sovranità militare. Per piacere, non sparate sulla croce rossa. Questa è una battuta triste ma azzeccata, per ricordare che l’Italia, dall’ultimo dopoguerra, è militarmente e geopoliticamente una colonia subalterna al potere Yankee. Più di cento basi militari sul nostro territorio sotto l’usbergo degli Stati Uniti e/o della NATO rappresentano una sola certezza “L’Italia non è in condizione di difendere i propri confini né di elaborare una politica estera autonoma. Insomma la sovranità militare risiede fuori dai confini nazionali in barba, anche qui, al potere sovrano reclamato dalla nostra Costituzione. E la sovranità economica?
Sovranità economica. si sono venuti creando e rafforzando, dal dopoguerra, una serie di organismi internazionali cui i paesi aderenti hanno accettato di trasferire quote più o meno estese della propria sovranità. Anche se in rapido sorvolo, vale la pena riportare due articoli della nostra Costituzione per leggere meglio i fatti e comprendere la risposta finale. Incominciamo con l’articolo 117: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Prestate attenzione! La Corte Costituzionale (sentenze 103/2008 e 86/2012) ha dato una chiara lettura a quanto evidenziato in grassetto, specificando che le norme dell’ordinamento comunitario hanno un preciso limite nell’intangibilità dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale (leggi, tra l’altro, la spesa pubblica necessaria per assicurare i servizi essenziali … salute, sicurezza, previdenza, istruzione …) e dei diritti inviolabili dell’uomo (leggi, tra l’altro …. lavoro, pensiero, espressione, movimento …) sempre ivi compendiati. Introduciamo ora l’art. 11 della nostra Costituzione: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo). Scorrendo attentamente il testo, osserviamo che l’Italia può limitare la propria sovranità, non cederla. Limitare la sovranità presuppone, a volerlo, la facoltà di riprenderla, cedere, invece, significa perderla del tutto. Ancora, le limitazioni consentite sono previste solo a favore di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni (il riferimento di allora era all’ONU non certo l’Unione Europea che ha ben altre e ben visibili finalità. Ma non basta, l’art. 11 prevede che le limitazioni devono avvenire in condizioni di parità. Ecco che allora, usando il cervello, ogni ragionamento estraneo alla cultura dell’abituale consumatore di vino vecchio a colazione, ci porta a concludere che l’Euro, l’Unione Europea e tutta la corporazione di interessi privati che si muove dietro tale connubio, sono estranei al patto costituente, illegali e soprattutto scollegati dalla democrazia popolare. Da tanto discende che anche tutti gli articoli dei trattati, che ci sottraggono sovranità, sono incostituzionali. Proseguiremo altrove il ragionamento; per ora ci fermiamo, quanto asserito è già sufficiente a dimostrare che anche la sovranità economica non appartiene al popolo. L’ Italia è da anni un paese etero diretto e vincolato nella formulazione della sua politica economica. Il consorzio europeo comporta l’accettazione di un controllo stringente che subordina gli interessi sociali al libero mercato, in contrasto con i principi della costituzione Italiana e favorisce la disuguaglianza sociale interna e tra gli stati.
La sovranità de mediatica.
Alla tradizionale tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) si affianca da tempo, in continua evoluzione, il potere mediatico, un agente al servizio della riprogrammazione neuro-celebrale dell’uomo. Dalla carta stampata alla televisione, da internet ai social, i cittadini e non solo, vengono beneducati a servire il re di Prussia. Tra l’informazione e la comunicazione, si registra la medesima differenza che passa fra il fatto e l’opinione, tra la sofferenza di essere neutrali e la tentazione di fare propaganda. Antonio Gramsci definiva i giornalisti (oggi estenderebbe le categorie ai politici e agli scienziati da talk show) «commessi delle classi dominanti». La sovranità mediatica è concentrata nelle mani di chi detiene il 95% del Pil mondiale, un’arma in dotazione dei “ladri del libero pensiero” e un indicatore di quanto dovremo lottare per realizzare quella libertà, quella democrazia e in ultima analisi quell’autodeterminazione tanto declamata dalla nostra disattesa costituzione.
Termino questa riflessione con la celebre frase di E. Pound:
“Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee,
o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui.
Piacciano o meno le idee del saggista del modernismo, soltanto chi è anche in lockdown cognitivo può dargli torto.